Quando ripenso alla Scala di Milano, luogo fra i più cari e speciali che si possano ricordare, mi sovviene la parola Famiglia.
Sì, perché per grande fortuna ho potuto frequentare la Scala fin da piccina, quando mia nonna ci portava insieme a mio papà ad ascoltare melodie tra le più belle al mondo, intonando versi della Carmen o della Turandot.
Quando hai undici, dodici anni (probabilmente la prima volta che misi piede alla Scala), le grandi cose le percepisci così difficili, così lontane e non riesci a comprenderne perfettamente il valore. Per me La Scala rappresentava un’ enorme scatola rossa fatta di luci, di magnifiche donne vestite con abiti lussuosi e luccicanti, di meravigliosi uomini in abito e di balocchi e sorprese ad ogni angolo. Ricordo che mia nonna ci faceva esplorare le camere più segrete, quelle dove si custodivano gelosamente importanti spartiti o quelli dove riposava l’orchestra nei momenti di pausa.
Adoravo rincorrere pazzamente mio fratello da una postazione all’altra, nascondendomi fra le porte di velluto rosso che separavano le singole logge. Poi mi divertivo ad ammirare col binocolo tutti i visi dei musicisti, a volte sorridenti, a volte in procinto di sbadigliare, a volte palesemente agitati. Per non parlare del cercare di dare un senso alle mille coppie così strambe che si ergevano all’interno del teatro, di comprenderne la loro storia, il loro umore, e quali professioni potessero rappresentare. Quali i loro desideri reconditi, quali i loro segreti, quali le loro paure.
Per me La Scala è parte di adolescenza e di crescita, una culla in cui sono capitata e che col tempo mi ha affascinata a tal punto da farmi innamorare del teatro in tutte le sue forme e di farmi intraprendere la laurea in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo. Quante cose diamo per scontate troppo spesso che poi ci influenzeranno a vita.
Sono convinta che parte della mia immaginazione sia stata inconsciamente condizionata dal mondo variegato che scaturiva da quel teatro. Il Teatro per eccellenza.
Non credo esisti serata che non ti soddisfi alla Scala. Anche i meno amanti del mestiere trovano di che lasciarsi intrigare in quella piccola grande dimensione umana.
Quando persi mia nonna ripensai subito alla sua immensa passione per il balletto, per l’opera e per quel posto di mondo, e appena mi ricapitò di tornare alla Scala, era come sentirla ancora lì, che mi abbracciava forte sorridendomi insieme ai suoi idoli artistici preferiti. Saperla lì mi rendeva felice.
Credo che chiunque abbia un poco di sensibilità artistica debba dare uno sguardo almeno una volta nella vita alla Scala. Ma non basta andarci e scattare fotografie degne dei più bei post social, bisogna respirarla, odorarla, viverla intensamente. Come quando la si scopriva ingenuamente con gli occhi di una bambina curiosa.
Certi colori e certi suoni rimangono in eterno, ecco perché credo che alcune meraviglie, alcuni posti e alcune persone siano per sempre. Sono sempre stati lì, siamo semplicemente noi a doverli far rivivere con cura.
Credo nella meraviglia e non vedo l’ora di immergermi nuovamente in quel mondo bizzarro e luccicante e fatto di musica con gli occhi di una adulta che non ha mai smesso di sognare.
Quella dimensione che ora manca più che mai, perché quella scatola calda di balocchi luminosi e di melodie per l’anima, sapeva farti sospendere dal mondo reale spesso troppo brutale e meschino.
Ci sei tu, cala il sipario e con essa tutte le preoccupazioni. Almeno per quell’attimo di spettacolo, tutto si fa sereno e finalmente buono.
D’altra parte “Il teatro è una zona franca della vita, lì si è immortali. “
Ciao Nonna.


